Amico
paesaggio.
Un
tempo abitavo in città, guardavo persone e palazzi.
Capivo
l'alternarsi delle stagioni dal cambio degli abiti, cappotti,
impermeabili, vestitini di cotone.
Il
verde cittadino per me era solo una comparsa.
Due
viaggi lunghi stagionali hanno caratterizzato il mio essere bambina e
la prima giovinezza, una sorta di transumanza, uno all'inizio
dell'estate verso la campagna, l'altro all'inizio dell'autunno verso
la città, i miei erano insegnanti.
Ci
caricavano in macchina con bagagli impossibili, io e mia sorella
eravamo tipo due valigie incastrate in uno spazio minimo vitale, una
da un finestrino, l'altra dall'altro.
E
via, si partiva.
Ci
aspettavano circa 1200 km, un viaggio lungo, non potevo leggere
poiché pativo, non c'erano allora cellulari, computerini, monitor
ove vedere film, avevo un mangia cassette che mettevo in funzione per
ascoltare un pò di musica, ne aveva uno anche mia sorella...infatti
poi, dopo qualche battibecco, si preferiva il silenzio.
Così
mi voltavo al finestrino ed osservavo, il paesaggio diventava il mio
compagno di viaggio.
Ricordo
ancora il piacere di incontrare tutti gli anni alcune immagini.
Le
ville della Riviera ligure, all'epoca non me ne capivo di stili, ma
le trovavo meravigliose, sopratutto a Rapallo cercavo di non
perdemene una.
A
Livorno percepivo la piacevolezza di una città di mare, la gioia di
vivere, ma passavamo veloci.
L'autostrada
filava diritta tra dolci colline con paesi arroccati in cima e campi
immensi coltivati, casolari sparsi qua e là sfrecciavano via.
Per
alcuni anni all'andata una sosta ai cipressi di Bolgheri era dovuta,
mio padre ci teneva, poi potè di più il desiderio di arrivare il
prima possibile alla sua terra natia e così anche questa tappa
svanì.
Del
Lazio correndo in autostrada percepivo poco, il nostro incubo era
quello di sbagliare al grande raccordo anulare.
Vi
era un luogo in Calabria che mi terrorizzava, non ne avevo alcun
motivo, forse era il nome Lagonegro ad impressionarmi, mi pareva che
ci fossimo solo noi a percorrere quel tratto di autostrada, alte
rocce, colori cupi, da lì a poco avrei incontrato il mare.
Si
il mare della Calabria, le sue spiagge interminabili con palazzine
quasi sulla rena, ci passavamo veloci davanti in macchina, ho ancora
negli occhi i tramonti su quel mare che mi struggeva, avevo la mia
giovinezza tutta davanti; li avrei voluti fissare in qualche modo
quei tramonti, viola, arancioni, indaci, e forse ci sono riuscita, li
ho ancora dentro di me.
Sapevo
che la Sicilia si stava avvicinando e ciò mi rincuorava.
Attraversare
lo Stretto era una gioiosa avventura, vento, sali scendi tra i ponti,
l'immancabile arancino; ciò che mi ha sempre colpita è che quando
si scendeva a terra l'aria era più calda, era più intensa, era
quasi palpabile...forse era solo un'idea.
Da
lì a poco si arrivava nella campagna alle pendici dell'Etna, lato
opposto al mare, la culla atavica di mio padre: il paesaggio che mi
ha accompagnato nei mesi estivi è quello dei campi gialli, stoppie
di grano tagliato, macchie di ginestre (ho saputo dopo che è proprio
la Genista aetnensis) e dei boschi sino al limitare della Montagna,
che lì si innalza nera e maestosa nella sua visuale più ampia ed
imponente.
Questi
viaggi a distanza di tanti anni li considero una sorta di educazione
sentimentale al paesaggio.
Nel
tempo ho imparato ad osservare sempre di più.
Adesso
abito in campagna.
Il
paesaggio è quello del Monferrato, ora osservo il cadenzare delle
stagioni, lo riconosco e lo cerco nel mutare della livrea degli
alberi, degli arbusti e delle viti che qui abbracciano le colline.
Quando
attraverso queste colline con la macchina o a piedi, guardo con
attenzione ogni cosa, osservo le piante più ancora di quando da
giovane osservavo le persone, cerco di dare un nome ad un cespuglio,
ad un albero e, se riconosco una rosa in un giardino, gioisco come
aver ritrovato un'amica.
Il
paesaggio adesso fa parte di me, mi avvolge, mi commuove, è un
quadro vivente cui ho la fortuna di far parte.
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