lunedì 16 maggio 2016

Un piccolo racconto di paesaggio e di vita

Amico paesaggio.
Un tempo abitavo in città, guardavo persone e palazzi.
Capivo l'alternarsi delle stagioni dal cambio degli abiti, cappotti, impermeabili, vestitini di cotone.
Il verde cittadino per me era solo una comparsa.
Due viaggi lunghi stagionali hanno caratterizzato il mio essere bambina e la prima giovinezza, una sorta di transumanza, uno all'inizio dell'estate verso la campagna, l'altro all'inizio dell'autunno verso la città, i miei erano insegnanti.
Ci caricavano in macchina con bagagli impossibili, io e mia sorella eravamo tipo due valigie incastrate in uno spazio minimo vitale, una da un finestrino, l'altra dall'altro.
E via, si partiva.
Ci aspettavano circa 1200 km, un viaggio lungo, non potevo leggere poiché pativo, non c'erano allora cellulari, computerini, monitor ove vedere film, avevo un mangia cassette che mettevo in funzione per ascoltare un pò di musica, ne aveva uno anche mia sorella...infatti poi, dopo qualche battibecco, si preferiva il silenzio.
Così mi voltavo al finestrino ed osservavo, il paesaggio diventava il mio compagno di viaggio.
Ricordo ancora il piacere di incontrare tutti gli anni alcune immagini.
Le ville della Riviera ligure, all'epoca non me ne capivo di stili, ma le trovavo meravigliose, sopratutto a Rapallo cercavo di non perdemene una.
A Livorno percepivo la piacevolezza di una città di mare, la gioia di vivere, ma passavamo veloci.
L'autostrada filava diritta tra dolci colline con paesi arroccati in cima e campi immensi coltivati, casolari sparsi qua e là sfrecciavano via.
Per alcuni anni all'andata una sosta ai cipressi di Bolgheri era dovuta, mio padre ci teneva, poi potè di più il desiderio di arrivare il prima possibile alla sua terra natia e così anche questa tappa svanì.
Del Lazio correndo in autostrada percepivo poco, il nostro incubo era quello di sbagliare al grande raccordo anulare.
Vi era un luogo in Calabria che mi terrorizzava, non ne avevo alcun motivo, forse era il nome Lagonegro ad impressionarmi, mi pareva che ci fossimo solo noi a percorrere quel tratto di autostrada, alte rocce, colori cupi, da lì a poco avrei incontrato il mare.
Si il mare della Calabria, le sue spiagge interminabili con palazzine quasi sulla rena, ci passavamo veloci davanti in macchina, ho ancora negli occhi i tramonti su quel mare che mi struggeva, avevo la mia giovinezza tutta davanti; li avrei voluti fissare in qualche modo quei tramonti, viola, arancioni, indaci, e forse ci sono riuscita, li ho ancora dentro di me.
Sapevo che la Sicilia si stava avvicinando e ciò mi rincuorava.
Attraversare lo Stretto era una gioiosa avventura, vento, sali scendi tra i ponti, l'immancabile arancino; ciò che mi ha sempre colpita è che quando si scendeva a terra l'aria era più calda, era più intensa, era quasi palpabile...forse era solo un'idea.
Da lì a poco si arrivava nella campagna alle pendici dell'Etna, lato opposto al mare, la culla atavica di mio padre: il paesaggio che mi ha accompagnato nei mesi estivi è quello dei campi gialli, stoppie di grano tagliato, macchie di ginestre (ho saputo dopo che è proprio la Genista aetnensis) e dei boschi sino al limitare della Montagna, che lì si innalza nera e maestosa nella sua visuale più ampia ed imponente.
Questi viaggi a distanza di tanti anni li considero una sorta di educazione sentimentale al paesaggio.
Nel tempo ho imparato ad osservare sempre di più.
Adesso abito in campagna.
Il paesaggio è quello del Monferrato, ora osservo il cadenzare delle stagioni, lo riconosco e lo cerco nel mutare della livrea degli alberi, degli arbusti e delle viti che qui abbracciano le colline.
Quando attraverso queste colline con la macchina o a piedi, guardo con attenzione ogni cosa, osservo le piante più ancora di quando da giovane osservavo le persone, cerco di dare un nome ad un cespuglio, ad un albero e, se riconosco una rosa in un giardino, gioisco come aver ritrovato un'amica.

Il paesaggio adesso fa parte di me, mi avvolge, mi commuove, è un quadro vivente cui ho la fortuna di far parte.

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